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Come reagire alla discriminazione di genere in un colloquio

La discriminazione delle donne sul lavoro è tutt’altro che debellata e, spesso, inizia proprio dal colloquio

Una donna che abbia affrontato almeno un colloquio di lavoro sa che, ad un certo punto, arriverà il momento imbarazzante in cui le verranno rivolte domande sul suo stato civile e sulla sua intenzione di avere figli in un prossimo futuro. Sebbene illegale, la discriminazione delle donne per il loro poter essere mogli e madri, è una pratica ancora molto diffusa, tanto che sono nate associazioni ad hoc, come la Young Women Network di Milano, che cercano di valorizzare il ruolo femminile nel mondo del lavoro ed insegnano alle candidate ad affrontare il colloquio con il piglio di chi non ha nulla di cui scusarsi.

Perché le donne sono discriminate

I motivi di questo atteggiamento sono ancora tutti da capire se, dati alla mano, è evidente che un’azienda dotata di un organico più equilibrato sotto il profilo del genere dei dipendenti, registra in media risultati migliori. La discriminazione è spesso legata ad una cultura arretrata e chiusa rispetto ai cambiamenti epocali che la società ha affrontato negli ultimi cinquant’anni e, non a caso, comportamenti discutibili in sede di colloquio e durante il rapporto di lavoro, sono spesso rilevati in realtà aziendali locali e di piccole dimensioni. La giustificazione più immediata è quella che una donna sposata, stretta tra incombenze familiari e lavoro, non potrebbe assicurare all’azienda la stessa efficienza di un uomo. La realtà che emerge dai racconti di chi ci è passata, è quella di una sottovalutazione totale e assoluta della donna basata esclusivamente sul genere e che (volutamente) non tiene conto di esperienza, capacità e quindi del valore aggiunto che ella potrebbe apportare. Chi discrimina, non solo viola la legge, ma commette un errore non più giustificabile da presunte esigenze aziendali, oggi che il mondo del lavoro viaggia proprio in senso opposto e anche le grandi aziende approntano sistemi in grado di conciliare famiglia e carriera.

Come reagire

Quando ci si prepara per un colloquio, ci si preoccupa di come presentarsi, del proprio curriculum, ma difficilmente ci si predispone ad affrontare indagini che, con le competenze non hanno nulla a che fare. Ecco perché quando ci si sente chiedere se siamo sposate o se vogliamo diventare madri, molte volte ci si blocca, imbarazzate per una simile intrusione nel privato. L’errore più grande è proprio quello di mostrarsi intimorite di fronte a chi ci ha già inquadrate come dei pulcini spaventati. Al contrario è obbligatorio mostrare la grinta e le tirar fuori le proverbiali unghie, riportando il discorso sulle proprie competenze e sulla idoneità alla posizione lavorativa cui il colloquio si riferisce. L’atteggiamento propositivo, forte e sicuro di sé, deve trasparire in ogni dettaglio, dal tono della voce alla postura, alla scelta delle parole. Cercare di nascondere la relazione che abbiamo, presentarci a colloquio senza la fede al dito, o mentire sui progetti di maternità è inutile, oltre ad essere una sconfitta, perché se già in sede di colloquio l’azienda discrimina, sicuramente non avrà un atteggiamento migliore in costanza di rapporto di lavoro. Meglio, se possibile, glissare senza scomporsi, sottolineare i risultati raggiunti in esperienze precedenti e ciò che crediamo ci renda perfette per quella posizione. E anche se dovesse andar male, mai scoraggiarsi, perché le aziende che riconoscono il valore di una persona al di là del suo essere donna e madre esistono e, se davvero interessate, assumeranno anche se chi si presenterà al colloquio avrà il pancione in evidenza.

Rivolgersi alla consigliera di parità

Come accennato, non assumere una donna in possesso dei requisiti richiesti solo perché non è un uomo, è illegale e, nel tentativo di riportare l’Italia ad una situazione sostenibile se non proprio di parità di genere, è stata creata una rete di consiglieri di parità, sotto l’egida del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ai quali è possibile rivolgersi per denunciare questi comportamenti. Scegliere di far valere i propri diritti non è facile e spesso si tende a rinunciarvi, un po’ per timore e un po’ perché il fatto di aver subito una discriminazione non è una cosa che si racconta volentieri. Certo è, che se vogliamo davvero che qualcosa si muova, dobbiamo essere, nel nostro piccolo, motore di questo cambiamento ed isolare coloro che lo ostacolano.